« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere».
(legge n. 211 del 20 luglio 2000)
Zavoli: Serve la giornata della memoria?
Il 27 gennaio non deve essere una specie di compito scolastico ma un richiamo solenne per oggi
Una volta fu chiesto a Vittorio Foa, un "padre costituente", se non giudicasse un rischio questa ennesima ricorrenza "cui il tempo aggiunge ogni anno un velo di retorica". Riassumo la risposta: «Io dubito che si possa chiedere, specialmente ai giovani, di ricordare a data fissa. Mi sembra una specie di compito scolastico che non corrisponde al valore del ricordo, cioè all`importanza della memoria in quanto possibilità di riflettere su un orrore, e di lavorarci sopra». Credeva che l`oblio avesse un senso se il ricordo è legato non solo al fatto cui ci si richiama, ma anche a una ragione che chiede di valutare ciò che rimane, concluso o irrisolto, di quanto riportiamo alla mente. Si riferiva all`ignobile strategia dei negatori della Shoah, che continuava a essere una ferocia persino più grave di quella che vorrebbe negare.
A questo proposito ricordo Arrigo Petacco che in tv interrogava una donna la cui famiglia, tra congiunti e parenti stretti, era passata "per il camino": in quel cielo straniero aveva visto salire, 12 volte, il fumo di tutta la sua gente. Adesso voleva vivere a lungo perché morto chi vide, neppure il più reputato degli storici avrebbe potuto far credere a un crimine siffatto; e allora si mise a dare notizie, fornire dettagli, svelare crudeltà, paure e speranze, prima che tutto finisse in un grande silenzio. Confessava: «Vengo ad Auschwitz tutte le volte che posso e racconto ogni cosa a chiunque si affacci nel vecchio lager». Temeva che quella storia, un giorno, sarebbe rimasta arrotolata nei cartelloni di un cantastorie.
Sono passati 68 anni da quando un`avanguardia di soldati sovietici entrò nel campo di Auschwitz. Theodor Adorno affermò che «da allora non sarebbe stato più possibile scrivere una poesia». Il filosofo ci indicava lucidamente il pericolo dell`oblio, al tempo stesso allettandoci sull`estetizzazione della sofferenza, che giudicava un modo di trasferire i contenuti dentro la cornice
dell`enfasi anziché reclamare un giudizio solenne, e durevole, per difendere la memoria di un evento ridotto a notizia, cioè a semplice anniversario addirittura ingiuriato da chi vorrebbe cancellarlo. Anche se ancora grida, non solo da noi, contro le svastiche negli stadi, sui muri delle Università e delle scuole, nei tanti riti sinistri di un indomato razzismo.
(Intervento di Sergio Zavoli sul settimanale Oggi)