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DOCUMENTO POLITICO DI PRESENTAZIONE DELLA CANDIDATURA ALLA SEGRETERIA PROVINCIALE PD DI PAOLO RUSSOMMANNO

18 ottobre 2013

Pubblicato in: Attualità

 

Cambiare il PD, cambiare il Paese, cambiare la nostra realtà

Documento politico di presentazione della candidatura alla Segreteria Provinciale di Paolo Russomanno

Il periodo dei Congressi del Partito Democratico - che inizia con quelli territoriali e si concluderà in primavera con quelli regionali, passando per la grande prova democratica dell'8 dicembre - rappresenta un momento importante nella vita politica del nostro Paese, che dirà quale politica e quale partito mettiamo a disposizione del Paese per i prossimi anni.

Il nostro è un partito giovane, nato pochi anni fa con un obiettivo principale: costruire una grande forza del centrosinistra, capace di unire storie diverse per costruire un futuro nuovo e capace di fare dell'innovazione e delle riforme il proprio motore e la propria ragion d'essere.

Un partito che aveva il coraggio di assumere su di sé la sfida del cambiamento, con l'obiettivo di rappresentare una forza maggioritaria nel Paese, anche uscendo da schemi politici vecchi e da confini elettorali rigidi.

In questo progetto politico io ho iniziato il mio impegno politico e in questo progetto politico ci credo ancora, così come ci credono, ne sono sicuro, milioni di italiani.


No, il PD non è nato per essere la somma aritmetica (o la fusione a freddo) dei due vecchi partiti che l'hanno generato (PCI-DS e DC-Margherita).


Il PD è nato per essere molto di più: il superamento delle divisioni storiche tra riformismo cattolico, laico e socialista; non doveva essere che il punto di partenza per costruire un grande progetto per l'Italia del futuro. Un grande partito del centrosinistra capace di dire qualcosa di interessante e di utile all'Italia di oggi declinando, al tempo presente, i valori antichi della giustizia, dell'equità, dell'eguaglianza di opportunità e costruendo una grande e nuova speranza collettiva in grado di fare crescere l'Italia.


Ora, io credo che di un partito così ci sia bisogno, oggi più che mai. E tuttavia, per fare sì che il PD esca dalle sabbie mobili in cui si è cacciato, fatte di un correntismo esasperato e di una asfittica autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, occorre che i Congressi che stiamo affrontando siano veri, che si parli delle cause che ci hanno portato nelle sabbie mobili di questi anni e che vinca i congressi e le primarie chi queste cause ha intenzione di rimuoverle, con coraggio e determinazione: a Roma, a Bologna, a Rimini.


Cambiare il PD si può


Le cause dell'empasse del nostro partito non sono molte e nemmeno difficili da descrivere. Occorre però prenderle di petto, e cercare di risolverle.

Io credo che il PD debba riscoprire almeno tre caratteristiche fondamentali, semplici e chiare.


1. Innanzitutto deve essere un partito a vocazione maggioritaria


Su questo occorre essere chiari: il Partito Democratico non è nato per essere il partito della sinistra che si allea con il centro (altrimenti sarebbe bastata una ulteriore svolta, del partito tradizionale della sinistra italiana: il PCI-PDS-DS).


Il PD è nato con una vocazione maggioritaria, per interpretare uno schema bipolare e rappresentare le ragioni di un centrosinistra, riformista ed europeo, in alternativa al centrodestra. Un partito del centrosinistra dove vi sia lo spazio, e la piena agibilità democratica, per componenti culturali diverse, come avviene in tutti i partiti progressisti e del centrosinistra europei.


Essersi dimenticati della ragione per cui siamo nati ed esserci rinchiusi nella vecchia identità di partito della sinistra (che si allea con il centro) è stato un errore clamoroso, compiuto dalla classe dirigente del nostro partito, e la causa principale, a mio parere, della mancata vittoria che ha portato alla non entusiasmante esperienza delle larghe intese.


Essere il partito del centrosinistra non è lo stesso che essere un partito di sinistra che si allea con il centro, e scegliere un modello piuttosto che un altro ha implicazioni profonde, perché racconta al Paese ciò che siamo e ciò che vogliamo essere.

Ha conseguenze profonde nel rapporto con le altre forze politiche, certo. Ma le ha profondissime nei contenuti della nostra proposta politica, nella scelta dei nostri interlocutori sociali, dei "mondi di riferimento" a cui vogliamo parlare e che vogliamo rappresentare.


Essere il partito del centrosinistra significa per esempio non limitarsi a difendere a oltranza i diritti acquisiti da alcuni ceti sociali ma ridisegnarli, allargando le tutele anche a milioni di persone (soprattutto giovani) che oggi ne sono esclusi.


Essere il partito del centrosinistra significa cercare di andare oltre la rappresentanza dei nostri ceti di riferimento tradizionali (lavoro dipendente) per cercare di rappresentare le ragioni dell'intero mondo produttivo parlando anche al mondo dell'impresa, agli artigiani, al popolo delle partite IVA.

2. Un partito che funziona con regole pienamente democratiche


Sul tema della democrazia è bene essere chiari. Siamo l'unico partito che fa le primarie e, ogni qualche anno, celebra il proprio Congresso.
In fatto di democrazia interna nessuno, almeno in Italia, può darci lezioni!

Non ce la può dare una destra egemonizzata da un partito padronale, ma nemmeno una sinistra radicale e un centro popolato di tanti partitini personali o quasi, legati al destino ed alle fortune dei loro piccoli leader.


E tuttavia dobbiamo avere la franchezza di ammettere che per quanto riguarda la "cultura organizzativa" del PD, intesa come modo di stare dentro il partito, di prendere le decisioni, di scegliere una linea politica, di selezionare i gruppi dirigenti c'è ancora tanta, tanta strada da fare.

Su questo punto il PD non è stato in grado di emanciparsi dai vizi di origine che caratterizzavano i due partiti di provenienza: il correntismo (di provenienza DC-Margherita) e il centralismo democratico (di marca PCI-DS) e ne ha ereditato, sommandoli, gli aspetti deteriori.


Anche in questo campo occorre fare, subito, una scelta di discontinuità. Il non avere saputo superare queste culture organizzative, ormai del tutto arrugginite, spiega infatti perché il nostro partito è stato incapace, in questi anni, di generare innovazione, idee nuove capaci di parlare al presente e al futuro del Paese.


Anche in questo caso la via di uscita c'è, e consiste nell'adottare un principio molto semplice che vige in tutti i partiti democratici (di centrodestra e di centrosinistra) del mondo occidentale: il principio di maggioranza.

Significa che in un partito ci possono (e devono) essere idee diverse, opzioni politico-programmatiche differenti tra loro, approcci più ideologici e radicali insieme ad approcci più riformisti. Idee diverse, che si confrontano, si discutono, si modificano e poi, alla fine, si contano.

Il tutto in un rapporto chiaro con l'elettorato e in un contesto di regole in cui si riconosce, alle posizioni che di volta in volta si trovano in minoranza, piena legittimità e piena praticabilità democratica, che significa la possibilità, la volta successiva, di riproporre la propria opzione e fare sì che essa vinca.


Sembra banale ma per il PD non lo è. Sembra dominare ancora l'idea di voler trovare, sempre e a tutti i costi, una sintesi, qualcosa che metta d'accordo tutti e che quindi quasi sempre è generica, astratta, confusa, quasi mai comprensibile ai comuni elettori e mai capace di incidere sulla realtà.


E tale pratica finisce per determinare una selezione di gruppi dirigenti spesso mediocri, perché basati su meccanismi che premiano il conformismo piuttosto che il coraggio, la difesa piuttosto che l'attacco, il conservare piuttosto che l'innovare.

Abbiamo invece bisogno di un partito più innovativo, più competitivo, dove chiunque ha una buona idea la possa presentare, fare crescere, confrontare e, anche, fare vincere.


Un partito "meritocratico" significa un partito in cui chi di volta in volta viene ad assumere ruoli di responsabilità, lo sia anche in ragione del coraggio, della tenacia e della passione con cui ha sostenuto una idea e non grazie al suo conformismo, alla sua abilità nel non esporsi, muovendosi con astuzia nei meandri di mille tatticismi.



3. Un partito (di nuovo) in sintonia con il Paese


Un grande partito come vuole essere il PD, deve avere certo un progetto di società, dei valori di fondo, delle regole democratiche su cui funzionare, meccanismi condivisi e trasparenti di decisione, ma deve possedere anche una caratteristica: quella di sapere comprendere, e identificarsi, con lo stato d'animo profondo del Paese. Questo è fondamentale, a Roma come a Rimini, come in tutto il Paese.

Purtroppo, in questi anni di drammatica difficoltà per milioni di persone, di famiglie e di imprese, il nostro partito non c'è riuscito.

Se prendiamo la vicenda dei cosiddetti costi della politica quello che più ha colpito milioni di elettori del PD, di persone perbene che credono ancora nella politica, è stato il fastidio, visibile a occhio nudo, con cui la nostra classe dirigente si è rapportata (e continua a rapportarsi) a questo tema.


Di fronte ai costi della politica, li si chiami finanziamento ai partiti, stipendi dei parlamentari o privilegi della casta, quello che i dirigenti del PD hanno saputo comunicare è stato solo un grande imbarazzo, seguito da un grande fastidio, un "aspettiamo, che prima o poi passa", nascondendosi dietro a frasi tipo: "sul tema abbiamo presentato una proposta di legge" senza rendersi conto che anche il più ingenuo degli italiani ha capito che presentare un disegno di legge non costa niente, e spesso sono presentati per non essere approvati.


Sia chiaro, il PD non deve cavalcare l'antipolitica, anzi la deve combattere. Ma l'antipolitica la si combatte prima di tutto con una politica che viva nella realtà del Paese, e nella quale la gente comune possa riconoscersi, soprattutto, è bene ripeterlo, nei momenti di grande difficoltà.

È vero che per ridurre il numero dei parlamentari occorre modificare la Costituzione e ci vuole tempo, è vero che per ridurre gli stipendi occorre approvare una legge (e non solo presentarla ...), è vero che per ridurre i costi della politica a tutto tondo occorre intervenire su molti fattori e ci vuole tempo.


Tutto vero. Ma è anche vero che, fino ad oggi, quello che la politica ha comunicato su questo è un grande vuoto.

Noi dobbiamo essere l'avanguardia di un cambiamento anche da questo punto di vista. Dire che, davanti agli eccessi "grillini", è possibile costruire un'idea di politica che consenta a chiunque di poterla fare - e non solo a chi ha possibilità economiche - ma anche capace di combattere eccessi e privilegi, accendendo un faro anche su realtà collaterali al mondo politico dove sopravvivono "caste" altrettanto costose in termini di risorse pubbliche.


Forse ci alieneremo qualche notabile, ma renderemmo la dignità ai tanti segretari di circolo, iscritti e volontari che si mettono al servizio gratuitamente, così come ai tanti amministratori locali che combattono - spesso in una solitudine quasi eroica - le battaglie della quotidianità per poche centinaia di euro.



Un PD rinnovato, anche a Rimini


Fino ad ora ho detto di come vorrei il nostro partito, il PD, per l'Italia. Un partito moderno, pienamente democratico, capace di generare innovazione e dinamico, anche nel formare e selezionare la propria classe dirigente sul territorio, un partito in sintonia con il sentire profondo del nostro Paese.

Penso che di un partito così ci sia bisogno anche a Rimini. Per questo mi candido alla guida del PD della nostra provincia.

Come tutti sapete nelle primarie dell'8 dicembre per l'elezione del segretario nazionale io voterò Matteo Renzi. Dico subito però che faremmo tutti un pessimo servizio a noi stessi e al nostro partito se in questo congresso provinciale replicassimo (per di più in anticipo!) la competizione nazionale.


In questo congresso provinciale bisogna che parliamo prima di tutto di noi, del partito che serve al nostro territorio e alle nostre città, e che necessita di un progetto di innovazione che può e deve essere trasversale ai posizionamenti legati alla politica nazionale.

Rimini non è meno importante di Roma. Al contrario. E per questo, anche qui, il confronto deve essere vero, a costo di essere aspro.

Perché anche a Rimini abbiamo bisogno di ridisegnare lo sviluppo del nostro territorio e di immaginare un nuovo orizzonte per la nostra comunità, e lo dobbiamo fare in mezzo a mille difficoltà, di ordine economico e non solo.

Anche a Rimini, quindi, occorre più che mai una politica coraggiosa, capace di innovare, scegliendo le cose da salvare, quelle da buttare e quelle, nuove, da pensare e costruire insieme.

Anche qui non mi voglio addentrare nei tantissimi problemi che riguardano la nostra realtà locale, né in un elenco di buone intenzioni.


Tra l'altro sono convinto che il nuovo PD e la sua politica lo dobbiamo costruire insieme, con i nostri militanti, i nostri simpatizzanti, i nostri amministratori, e insieme a tante persone nuove che speriamo si avvicinino al nostro partito.


Penso però che, anche a livello locale, il PD debba essere molto diverso da quello che abbiamo conosciuto in questi anni. Il PD che abbiamo conosciuto a Rimini è stato un partito molto debole come organizzazione, spesso assente sui contenuti, timido nell'innovazione, animato molto di più da scontri personali che non da un confronto serio sulle cose da fare.

Anche per questo nelle nostre città abbiamo sofferto particolarmente la crescita forte del populismo e dell'antipolitica (in molte zone il Movimento5Stelle è risultato il primo partito alle ultime elezioni politiche).

Ma, ancora più preoccupante, questa debolezza ha provocato un sostanziale distacco e una sostanziale lontananza del PD da ciò che avveniva nella realtà locale mentre le amministrazioni sono spesso state lasciate sole a caricarsi il peso del governo locale, in una situazione molto più difficile che in passato.

È sufficiente da questo punto di vista guardare, nel recente passato, alla conduzione delle coalizioni di governo in importanti realtà locali che hanno portato a logoranti crisi amministrative; alla gestione del partito - più visto come un temporaneo trampolino di lancio personale che come un duraturo impegno di ri-costruzione di una comunità - e alla recente fallimentare campagna per il tesseramento; ma anche alla discutibile gestione delle risorse pubbliche sul nostro territorio.


Anche alle nostre latitudini c'è dunque bisogno di un partito aperto, trasparente e capace di proporre nuove ricette politico-amministrative. Questo vale per il livello regionale, dove un modello che ha dato tanto va oggi adeguato alle grandi domande di innovazione provenienti dai territori, fino alle più piccole realtà comunali. Serve quindi un PD al servizio delle comunità, non al servizio delle carriere personali o delle guerre tra correnti.


A Rimini andremo ad eleggere un Segretario che dovrà vivere il suo ruolo per l'intero mandato e con lo scopo di ricostruire un sentimento e una comunità. Sarà un Segretario che dovrà agire fin da subito per ripartire da una situazione che vede un crollo verticale dei tesserati, evidenti difficoltà nella gestione delle partite politiche, la precarietà di alcuni circoli che rischiano ogni giorno la chiusura, la condizione degli iscritti che faticano sempre più a far sentire la propria voce. Un partito avvitato attorno ad organismi e percorsi che dovrebbero invece essere più efficaci, snelli e contemporanei.

Dobbiamo investire su strumenti che ci siamo dati e che fatichiamo a trasformare in realtà totalmente funzionanti, come i forum tematici o i referendum tra gli iscritti su temi di grande rilevanza politica.

In secondo luogo credo che il PD di Rimini, se vuole avere un ruolo nel futuro, oltre che una organizzazione e un nuovo radicamento territoriale, debba ricostruire anche i tratti salienti della propria identità: che significa decidere, e dire, cosa vuole essere, cosa vuole fare, quali valori vuole affermare, quali interessi vuole difendere a scapito di quali altri.


Anche in questi casi più delle parole dovranno contare i fatti, perché è con i fatti che sapremo rendere evidente, a tutti, ciò che vogliamo per il nostro territorio.

Ed è solo mettendo in campo fatti concreti che il nostro partito può aspirare ad essere un punto di riferimento per i nostri elettori e per tutti i cittadini.


Di esempi se ne possono fare tanti: se, come PD, parliamo di sviluppo urbanistico all'insegna della qualità, occorre che diciamo che chi riesce a contenere o azzerare lo sviluppo del cemento è bravo e chi non ci riesce non lo è.

Se diciamo che occorre ridurre gli sprechi delle pubbliche amministrazioni occorre che poi diciamo bravi ai Comuni che si associano perseguono processi come le Unioni e le fusioni, e non bravi ai Comuni che ancora non lo fanno.

Se diciamo stop all'evasione fiscale in una realtà "sensibile" come la nostra occorre che plaudiamo a quegli amministratori che contro l'evasione si schierano apertamente e "fischiamo" quelli che ancora non l'hanno fatto.

Se diciamo basta ad una economia basata su rendite di posizione e sì ad una economia basata sul mercato occorre che abbiamo il coraggio di dirlo anche qui, a chi ostacola questa evoluzione.

Se siamo preoccupati delle infiltrazioni criminali nelle nostre economia occorre un PD riminese efficace nel denunciare e nel creare una coscienza collettiva su questo fenomeno;

Se diciamo lotta alla povertà occorre che ci muoviamo nel senso di un nuovo welfare e di una politica realmente dalla parte degli "ultimi", senza aspettare che facciano tutto le Caritas.

E così potrei continuare, con molti, molti altri esempi, perché questo è il PD che servirebbe a Rimini: un partito capace di generare idee, di promuovere iniziative, di produrre risultati, facendo in modo che ogni battaglia, anche la più piccola e concreta, sia in grado di fare vivere i valori che come partito vogliamo affermare. E facendo in modo che ogni cosa positiva che un circolo o un gruppo di lavoro, o un'amministrazione riesce a produrre si "connetta" con cose positive che altri circoli fanno, in altre parti d'Italia in un grande network di buone pratiche.

Insomma, un partito vivo, capace di leggere i problemi e di affrontarli, di contrastare il declino e non solo di assistervi e, soprattutto, di immaginare, per tutti, una nuova partenza.


In un partito così, ne sono sicuro, ci sarebbe meno spazio per piccoli calcoli di bottega e di carriera personale, e più spazio per chi concepisce la politica come servizio e intende servirla con coraggio, tenacia e generosità.

Rispetto a questo lavorerò, ad esempio, in vista della tornata amministrativa della prossima primavera, affinché dal territorio nascano 4-5 idee comuni a tutti i programmi amministrativi, su altrettanti problemi, capaci di dare un "segno" (o meglio un colore) al governo del nostro territorio.


Concludendo, penso che il PD, anche a Rimini, debba essere lo strumento attraverso il quale migliaia di persone e di giovani si riappropriano della politica, assumendo un punto di vista sui tanti problemi che li riguardano e sentendosi in questo modo parte di un progetto collettivo.

Ascoltiamo spesso, nei discorsi dei nostri leader, della necessità di andare nel territorio e di ascoltare la gente. Naturalmente questo ci vuole, ma non serve a molto stare tra la gente se, di fronte ai problemi, spesso non si ha la minima idea di cosa dire e di cosa fare.


Ripartire dal territorio va bene, anche a Rimini, a patto però di avere il coraggio di assumerci il nostro punto di vista: su ciò che vogliamo che siano le nostre città, su come vogliamo il lavoro, l'economia, la cultura, le relazioni tra le persone, insomma su come vogliamo il futuro.

In un mondo fatto di interrelazioni sempre più forti e di connessioni sempre più strette tra locale e globale, in cui anche una buca nella strada può dipendere dai vincoli europei sul patto di stabilità. In un mondo in cui, grazie alla Rete, stanno cadendo sotto i nostri occhi gerarchie e distanze, anche l'innovazione e le cose buone possono nascere in qualsiasi punto e diffondersi in qualsiasi altro.


E quindi possiamo e dobbiamo cominciare da noi, dal nostro territorio, con la nostra intelligenza, la nostra creatività e il nostro entusiasmo a ricostruire un Partito moderno, contemporaneo, facendo tornare a tutti la voglia e l'orgoglio di essere Democratici.


Enrico Berlinguer diceva: "Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno". Ricostruire questa comunità, forte e solidale, capace di agire insieme per cambiare in meglio il Paese è il mio e il nostro scopo.



Paolo Russomanno



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